Narra una leggenda che la splendida baia di Halong, costellata da una miriade di isole che si innalzano dalle acque verde smeraldo del Golfo del Tonchino, sia la creazione di un mitico Drago, il Tarasco, che ancora giacerebbe sul fondo del golfo. Halong, che significa “luogo dove il drago si è inabissato in mare” viene definita l’ottava meraviglia del mondo ed è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1994.
Il Drago, uno degli animali mitici in tutto il sud-est asiatico, simbolo di potere e ricchezza, mi riporta alla mia passione per lo studio dell’alchimia taoista e delle arti energetiche. Il Dai Mai, il canale cintura o canale del Drago simboleggia nel microcosmo uomo, il collegamento tra la parte più terrena rappresentata dalle parti del corpo connesse alla Terra e all’Acqua con le parti più spirituali, rappresentate dall’Aria e dal Fuoco.
Ad Hanoi ci accoglie Van, la guida che ci accompagnerà alla scoperta delle meraviglie delVietnam del nord. Van ha poco più di trent’anni, vive ad Hanoi e si stupisce quando gli diciamo da dove arriviamo. “Ho studiato a Trento – dice- conosco la vostra città”. Si crea una sorta di cameratismo, qualcosa di impalpabile che mi porta a fargli domande di ogni genere. La capitale del Vietnam, abitata sin dal III e rifondata nell’XI secolo dalla dinastia che liberò il Paese dalla dominazione cinese, rispecchia il gusto francese del periodo coloniale nei numerosi edifici e nei grandi viali alberati.
Visitiamo il Tempio della Letteratura, la Pagoda a Pilastro Unico, il tempio di Quan Than, il Lago della Spada restituita e il Mausoleo di Ho Chi Min. E’ proprio davanti a questo edificio che Van mi dice “..il Vietnam è provato da cent’anni di guerre. Mio padre ne ha vissute due…”.
Una fila interminabile, variopinta e ordinata di uomini, donne e bambini si appresta a rendere omaggio alla salma del padre della Patria. Ci accodiamo anche noi, poi mi scosto per fare qualche foto e osservare quello spettacolo inconsueto.
Confucianesimo, taoismo e buddismo si sono avvicendati e amalgamati in questa terra nel corso dei secoli. L’etica confuciana, di provenienza cinese, con le sue regole di equilibrata convivenza sociale, si è alternata alla libertà di pensiero e all’individualismo taoista. La spiritualità buddista, proveniente dall’India si è innestata sulla cultura animista locale e sull’antico culto degli antenati, dando luogo a quella che è chiamata la Tripla Religione (Tam Giao). Sulla giunca, nella baia di Halong, Van esprime la sua idea di matrice confuciana riguardo al governo del Paese.” La società ha bisogno di regole,” dice.” L’occidentalizzazione velocissima ha fatto smarrire la propria identità alle giovani generazioni”, afferma. Racconta dei difficili rapporti intergenerazionali tra padri e figli, soprattutto nelle città.
Il centro Vietnam ci accoglie con un’esplosione di colori: piante rigogliose, fiori e profumi. Mi innamoro subito di Hoi An con i suoi splendidi edifici, le pagode, le case dei mercanti, i palazzi pubblici e le case porticate francesi. Hue, capitale del Paese dal 1802 al 1945 e da sempre centro culturale, religioso ed educativo, ci regala, all’interno della splendida Cittadella Imperiale, un frammento della storia di vita di ” Antonio”, la nostra guida nel centro-sud del paese. Antonio è nato il 19 agosto del 1962 a Saigon, sotto il segno zodiacale della Tigre. Nel 1968 la madre muore a seguito di una scheggia di bomba americana che la coglie nel sonno. Qualche anno dopo le “purghe” dei vincitori del nord inviano il padre in un” campo di rieducazione”, dal quale non tornerà più. Antonio è pacato, distaccato, disincantato. Mescola la sua storia con il racconto delle vicende degli imperatori dell’antichità, dà un senso di continuità alla storia del suo paese, alle sofferenze del suo popolo.
Nel 1965 le ragazze di Danang accolsero gli americani “salvatori” con danze e corone di fiori. Danang e le sue splendide spiagge furono luogo di riposo per quei soldati in tempo di guerra. Qualche anno più tardi i perdenti se ne andarono, lasciando sul terreno milioni di morti e di vivi che pagarono quella sconfitta con la vita. Molti di questi erano i figli delle illusioni di quelle donne, di quei soldati, di quella generazione, i figli del peccato, che morirono per colpe mai commesse. Saigon e il suo Museo dei crimini di guerra. Guardo la brochure che ci danno in biglietteria e mi rifiuto di entrare. Quelle foto…Mi siedo e osservo la folla che entra e esce dallo stabile. La mia attenzione è catturata da una bella famiglia di americani: madre, padre e due ragazzi, che dimostrano un atteggiamento di rispettosa presenza.
Guerre di tutti i tempi, che nulla insegnano a quest’umanità dormiente, cieca e sorda: America, Vietnam, Cambogia, Germania nazista, Italia fascista…. La storia si ripete sempre uguale, sempre con le stesse motivazioni, sempre con la stessa “smemoratezza”. Non posso fare a meno di pensare alla famosa frase alchemica attribuita a Ermete Trismegisto, che recita :”Come sopra cosi’ sotto”. Ciò che succede nel mondo intorno a noi non è che il riflesso di ciò che succede dentro di noi. Quante volte anche nel nostro microcosmo interiore festeggiamo qualcuno o qualcosa, che ci salverà dalle nostre pastoie interiori, dal nostro dolore, dalle nostre paure, dalla rabbia. Ci “innamoriamo” e proiettiamo tutte le nostre aspettative sull’altro. Ma quante volte, poi, fuggiamo dal nostro sogno che si trasforma in incubo, in blocco mortale. Puntiamo il dito, il salvatore diventa il nemico, ma di chi, di cosa? Cosa non abbiamo la forza e il coraggio di guardare in faccia senza veli, senza ipocrisia. Cosa non riusciamo e risolvere nella nostra vita? Chi dovrebbe aiutarci a vivere? A chi dichiariamo guerra? “Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli Dei”, è scritto sul frontone del tempio dell’oracolo di Delfi…. Antonio ci racconta che ora sta continuando quella che chiamano la “guerra interna” tra il nord e il sud del paese. Tra i nord vietnamiti che si accaparrano le terre migliori sul delta del Mekong e la popolazione autoctona. Mi pare di conoscere già questa storia…
Continuiamo la visita alla città con i suoi edifici coloniali, il Palazzo della Posta e la cattedrale di Notre Dame, il quartiere cinese di Cholon con la pagoda di Thien Hau ed il grande mercato. Osservo anche gli sciami di motorini ( venticinquemilioni di di mezzi su una popolazione complessiva di ottantamilioni di persone) che invadono le strade, l’aria irrespirabile, gli anonimi palazzoni e sono contenta di lasciare Saigon. Risaliamo il Mekong fino a Chau Doc. Arriviamo che è già sera. Il posto è incantevole. L’albergo, in stile coloniale si affaccia direttamente sul fiume. Il mattino dopo osservo un paesaggio mozzafiato:il delta è amplissimo, battelli vanno e vengono, il cielo plumbeo si riflette nell’acqua, la vita scorre placida e immemore di sè stessa…
Il Maestro Thich Nhat Nanh divenne un personaggio di fama internazionale nel 1966 quando viaggiò attraverso gli Stati Uniti cercando di descrivere l’agonia del popolo vietnamita senza voce. Trovo una sua frase che sintetizza le mie impressioni su questa terra . “La nostra vita quotidiana – dice – il modo in cui mangiamo, beviamo, camminiamo, tutto è legato alla situazione del mondo. Meditare è vedere nel profondo delle cose, vedere come possiamo cambiare, trasformare la situazione”. La dono ad Antonio, che torna a Saigon. Dobbiamo andare via. Risaliamo il fiume in direzione di Phnom Penh.
“C’era una volta il sovrano del grande regno dell’India, Addicavan. Egli aveva affidato la difesa delle frontiere del suo prezioso regno al figlio primogenito Prah Thon, principe di grande valore, che difese il regno del padre dall’invasione delle tribù d’oltre confine. A causa della guerra il principe stette lontano dal regno molti anni e, quando seppe che si tramava per escluderlo dall’eredità, tornò alla testa del suo esercito. Ma trovò ad attenderlo le guardie di suo padre e fu mandato in esilio con i suoi seguaci e con le loro famiglie. Fuggirono verso est, navigarono per molti giorni, finché giunsero in un vasto golfo circondato da montagne e lì approdarono e costruirono una città. Poco più al largo c’era un’isola sulla quale si ergeva un albero maestoso. Durante i periodi di secca il mare si ritirava ed era possibile raggiungere l’isola a cavallo: qui si organizzavano fruttuose battute di caccia. Ma quando il mare riprendeva la terra l’isola tornava distante e Prah Thon la osservava da lontano rimpiangendo il suo regno. Fu durante una di queste battute sull’isola che il principe esule, passeggiando sotto il grande albero alla luce del plenilunio, scorse una bellissima fanciulla danzare nel cielo circondata dalle sue ancelle. Se ne innamorò e voleva sposarla, ma lei gli disse che doveva ottenere il consenso del padre, perciò gli ordinò di ritornare al successivo plenilunio. Prah Thon obbedì e tornò qualche tempo dopo. La fanciulla ricomparve e lo condusse sulla riva del mare. Le acque si misero a ribollire impetuosamente e di lì a poco emersero le nove teste di Bhujang Nagaraja, il re dei Naga, Signore del mare e di tutte le profondità della terra. Egli concesse la mano di sua figlia Dharavatti al principe Prah Thon. Poi chiamò a raccolta tutta la sua corte, comparvero centinaia di Naga che si misero a bere tutta l’acqua circostante, da lì emerse una terra che Dharavatti portava in dote a Prah Thon: la terra di Cambogia.”
In cambogiano tonlé vuol dire “fiume” e grande si dice thom: Tonlé Thom è il Grande Fiume, il Mekong, il cui lavoro paziente durato migliaia di anni ha dato origine alla terra su cui si trova l’attuale regno di Cambogia”. Al nostro arrivo nella capitale ci accoglie, a sorpresa, una guida italiana. Claudio, piemontese di origine, ha sposato una donna locale e vive in Cambogia dal 1995. Ci accompagna nella visita della città nella sua morbida atmosfera di stampo coloniale. C’è molta gente per strada, tanti bambini giocano, mangiano, corrono, cercano di vendere qualche oggetto ai turisti: “one dollar, one dollar” ripetono ossessivamente. I non lontani anni “70” videro la Cambogia protagonista di una sanguinosa pagina di storia. Nel 1975 i Khmer rossi invasero Phnom Penh e per i successivi quattro anni, sotto la guida di Pol Pot, si procedette all’eliminazione sistematica di due milioni di cambogiani, soprattutto quelli più istruiti, nel tentativo di trasformare il Paese in una cooperativa agraria di stampo maoista, dominata dalla classe agricola.
Durante la visita del Museo nazionale, dimostrando un’abilità straordinaria, Claudio intreccia la storia locale con quella europea, sovrappone l’arte ellennistica alla cultura preangkoriana, seguendo la rotta dei commerci della seta e delle spezie. Statue dai tratti regali ci osservano dai loro piedistalli. Nel giardino l’altare induista, la Ioni che accoglie il Lingam, simbolo della Trimurti, e l’acqua simbolo di immortalità, che da secoli permette il perpetuarsi della vita sulla Terra. Il Palazzo Reale ci appare in tutta la sua grandiosità. L’edificio è un compendio di arte locale e francese. La sala del trono presenta nel suo arredamento elementi khmer e oggettistica in stile francese. Nella Pagoda d’argento, accanto al Palazzo, sono raccolti più di 1.800 oggetti, frutto di donazioni. Non sono mai stati catalogati, quindi non se ne conosce l’esatto numero né il nome del donatore. Il semplice fatto che siano stati offerti li rende tutti preziosi allo stesso modo, manufatti d’oro e pietre preziose accanto a oggetti di uso quotidiano : la loro sacralità dipende dall’importanza che avevano presso chi li ha donati. Claudio è davvero un mediatore culturale, capace di trasmettere in poche ore una quantità di informazioni altrimenti difficili da scoprire. Il mercato con i suoi odori e colori attira la nostra attenzione. In volo raggiungiamo Siem Rap dove incontriamo l’ultima guida locale di questo viaggio.
Praxam, ha ventisette anni, occhi nerissimi, una risata cristallina, con un fondo di amarezza. Mi chiede dell’Italia e del Vietnam, dove non è mai stato. Ha sete di conoscenza e una grande abilità con le lingue. Con lui ci dirigiamo verso il lago Tonle Sap, per visitare un tipico villaggio di pescatori. Le palafitte sul lago sono molto malandate; il villaggio è povero, i servizi igienici precari. L’unico lusso pare essere qualche televisore intravisto qua e là. “La gente qui ha solo quel che basta per sopravvivere. E’ impensabile per un cambogiano medio immaginare una vita diversa, magari lontano da qui “– dice Praxam. Gli abitanti sono in parte khmer e in parte vietnamiti rifugiatisi qui durante la guerra. I numerosi bambini (ogni famiglia ne ha 5 o 6) giocano navigando in tinozze di metallo. La mortalità infantile in Cambogia è elevata e le cure mediche sono in mano ai privati. Il lago è una città galleggiante, ci sono vivai per il pesce gatto e per i coccodrilli. C’è anche una chiesa cattolica . Il villaggio si sposta secondo la stagione e quando c’è più acqua raggiunge le pendici della collina. Luminosa capitale del grande regno Khmer, fulgida testimonianza del genio umano nel campo delle arti, dell’architettura e dell’urbanistica Angkor ci accoglie in tutta la sua magnificenza.
Angkor Tom col celeberrimo Bayon, la Terrazza degli Elefanti e del Re Lebbroso, il Palazzo Reale, dove per 454 anni vissero gli imperatori khmer. Angkor Wat è vastissimo, costruito su cinque livelli e abbellito da decorazioni,simboliche. C’è il Naga, il serpente sacro, le cui scaglie decorano anche le tegole delle coperture. Le porte del tempio sono sempre quattro, come i punti cardinali e le scale sono dodici come i mesi dell’anno. Noto che la porta aperta è rivolta verso est a simboleggiare la nascita del Sole, l’inizio della vita, che termina a ovest, al suo tramonto. Al primo livello, nella galleria, alcuni bassorilievi rappresentano storie mitologiche. Raccontano dell’origine della vita, dell’estrazione dell’elisir dell’immortalità dal mare di latte, da cui scaturiscono le Apsara, le danzatrici eterne, della contrapposizione fra il Bene e il Male dove l’uno non predomina mai sull’altro, in una perpetua ricerca di equilibrio, cui Vishnu, il creatore del mondo, sovrintende. I capolavori si susseguono: divinità buddiste si intrecciano a quelle induiste.
La storia e l’ego dei sovrani che si sono succeduti nei secoli e che hanno cercato l’immortalità attraverso queste antiche pietre, hanno portato ad una continua alternanza tra le due religioni. Un piccolo tempio il Neak Pean, o Tempio dei serpenti intrecciati, attira la mia attenzione. Le code intrecciate mi riportano al simbolo del caduceo, (kerykeion in greco), il bastone con due serpenti attorcigliati intorno ad esso, attribuito al dio greco Ermes ( Mercurio), il simbolo della medicina e in Italia emblema dell’Ordine dei Farmacisti. La simbologia induista chiama Ida, Pingala e Sushumna questi stessi grandi canali energetici, o sistemi nervosi, che veicolano ed equilibrano l’energia tra i sette chakras principali, o ghiandole endocrine. Lungo il viale d’ accesso un gruppo di suonatori mutilati, vittime delle bombe, suona una musica khmer, creando un apparente forte contrasto con lo spirito del luogo, che parla di guarigione. Alla vasca centrale, in questa stagione priva di acqua, sono collegate quattro vasche orientate secondo i punti cardinali. Ad ogni bacino corrisponde una cappella, con una doccia per il bagno dei malati, simboleggiata da una testa animale che corrisponde ad un elemento: l’uomo è il Sole, il cavallo è l’Aria, l’elefante è l’Acqua e il leone il Fuoco.
L’acqua del bacino, l’acqua benedetta che pulisce e risana appartiene alla Terra, ma è in risonanza con le parti più spirituali, più Celesti, rappresentate dall’Aria e dal Fuoco. La malattia è quindi il risultato di un disequilibrio tra i quattro elementi: semplice, no? Salutiamo Praxam all’aeroporto di Siem Rap regalandogli un libro di geometria sacra che ho portato con me dall’Italia. Mi porge un suo biglietto da visita. Chissà, forse un giorno gli scriverò.
Tra macrocosmo e microcosmo il viaggio non è finito. In me alberga la certezza di un sincretismo culturale e religioso che, oltre le apparenze, da sempre unisce oriente e occidente e che mi fa perseverare nella ricerca.